Di Giuliano Gaia.
Ricetta: come costruire un tipico museo italiano. Prendere uno splendido palazzo storico, riempirlo di importanti collezioni per iniziativa di nobili o borghesi illuminati, e poi lasciarlo riposare abbastanza a lungo perché incuria, mancanza di fondi e pigrizia intellettuale lo trasformino in un luogo decaduto e deprimente.
Dato che questo tipo di museo è purtroppo ancora troppo diffuso in Italia, e’ davvero rincuorante trovare delle eccezioni. Palazzo Madama di Torino e’ una di queste: è infatti sufficiente pagare i 12 euro del biglietto di ingresso per trovarsi proiettati in un museo di qualità europea, assolutamente alla pari con i grandi musei londinesi (tranne la gratuità, purtroppo, ma non esageriamo con i sogni).
E in questo caso la qualità e’ data non tanto dalla bellezza del palazzo e dall’importanza delle collezioni (ovviamente entrambi di altissimo livello, ma questo in Italia lo possiamo dare per scontato), quanto da una cura dei dettagli che all’estero si danno per scontati ma da noi sono troppo spesso trascurati:
1) Pulizia: dalle bacheche ai bagni alle finestre, il livello e’ sempre ottimo. Spesso per rendere un museo anche mentalmente meno polveroso basta spolverarlo, letteralmente: un ambiente pulito infatti trasforma la percezione del museo sia da parte di chi lo visita che di chi ci lavora.
2) Gentilezza dei custodi: questo e’ un punto spesso dolente in Italia. Nel caso di Palazzo Madama ho trovato in media una disponibilità a interagire e, incredibile, sorridere, purtroppo rara in molte altre situazioni pubbliche.
3) Qualità dei testi e delle informazioni: dai pannelli esplicativi alla guida su tablet, i testi sono essenziali, chiari e precisi, scritti in un linguaggio semplice e comprensibile lontano dal “curatorese” che infesta così tante didascalie e pannelli museali italiani.
4) Tono generale verso il visitatore: essendo storicamente gli italiani un popolo di sudditi e non di cittadini, il tono delle istituzioni pubbliche nel rivolgersi ai propri utenti, è spesso impositivo o al massimo condiscendente. Nel caso di Palazzo Madama si coglie subito un registro diverso. Ad esempio per segnalare che il flash è vietato, invece di mettere un aggressivo NO FLASH o un burocratico “vietato effettuare fotografie con il flash”, il museo scrive: “siamo felici che facciate fotografie e le condividiate in rete… vi chiediamo solo di farlo senza Flash”. Il cambio di tono è in questo caso copernicano, anche se il succo del messaggio resta lo stesso.
5) Cura verso i piccoli bisogni del visitatore: dalle sedie pieghevoli in distribuzione gratuita, alla splendida area caffe’ con vista su Piazza Castello in cui ci si può sedere gratuitamente quanto si vuole, fino al free wi-fi, si percepisce anche in questo caso un serio e costante tentativo di mettersi nei panni del visitatore e di venirgli incontro nei piccoli bisogni accessori che possono rendere la visita più piacevole. Anche perché riflettevo recentemente sul fatto che il museo e’ un’oasi per il turista sperduto in un paese straniero. Qui trova riparo dalla pioggia, dal freddo e dal caldo, sicurezza, tranquillita’, regole certe, cose da fare, cibo, souvenir a prezzo fisso. Teniamolo presente nel progettare i nostri musei: non sono solo scrigni di cultura, sono anche rifugi, specie in paesi come il nostro, spesso aggressivo col turista, se non addirittura ostile. Palazzo Madama ha dimostrato di capirlo offrendo ambienti amichevoli e protettivi.
6) Apertura alla tecnologia: la guida su tablet in distribuzione gratuita all’ingresso, l’invito pressante a partecipare agli eventi social (quando ci siamo passati noi c’era l’Ask a Curator Day su Twitter, e la cosa era segnalata fin dall’esterno del museo), la presenza su Google Art Project, le iniziative di crowdfunding via web: tutti segni che Palazzo Madama e’ molto digitalmente attivo, e questo tra i grandi musei storici italiani e’ ancora abbastanza un’eccezione, purtroppo.
Complimenti a parte, vorremmo concludere questo report con qualche piccolo consiglio per arrivare alla perfezione. Come molti palazzi storici italiani, anche Palazzo Madama è un labirinto in cui orientarsi è molto difficile, e forse a livello di indicazioni al pubblico si potrebbe fare qualcosa di più per cercare di chiarire maggiormente i percorsi di visita, l’uscita, il caffè e la posizione dei bagni.
Un discorso a parte merita il servizio Taparelli d’Azeglio. Nel 2013 Palazzo Madama ha ottenuto un grande successo promuovendo una raccolta di crowdfunding per poter acquistare un set di tazze da tè appartenuto a Massimo d’Azeglio. In poco tempo la somma necessaria è stata non solo raggiunta, ma superata, con un concorso di pubblico che ha superato i confini torinesi per diventare un vero e proprio caso nazionale (abbiamo partecipato anche noi come Leonardo a Milano). Dato il successo dell’operazione e l’ampio concorso di pubblico (oltre 2600 donatori) ci si poteva aspettare un’esposizione “importante” del servizio d’Azeglio, ad esempio in una teca separata, con un’illuminazione particolare che trasmettesse anche fisicamente l’importanza dell’operazione. Il servizio è invece stato esposto in una teca insieme con altri servizi da tè, senza una vera valorizzazione esclusiva, a parte una targa ricordo sull’operazione. Il post-raccolta fondi è pero’ importante almeno quanto la raccolta: chi dona deve infatti vedere adeguatamente valorizzata la propria donazione, altrimenti si crea una delusione che renderà più difficili ulteriori donazioni, mentre Palazzo Madama, grazie alla qualità della propria comunicazione col pubblico, potrebbe permettersi di costruire una vera e propria community online di donatori, in grado di superare le classiche e vetuste “associazioni degli amici del museo”.
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