Mostra di manoscritti al Museo del Tesoro del Duomo di Vercelli
Di Flora Santorelli.
Le tecniche usate dall’archivista, l’uso cioè dei «ferri del mestiere», rinviano a sedimentazioni di studi e di risultati conseguiti dentro consolidate tradizioni. Ma essere consapevoli della forza delle tradizioni non significa ignorare la necessità di adattarle ai mutamenti di clima culturale entro il quale si opera. (1)
Lo studio di una pergamena medievale richiede competenze specifiche: necessita della conoscenza di storia della scrittura (paleografia) e della lingua in cui è scritto il testo (solitamente latino); la diplomatica (la scienza del diploma, documento per eccellenza) aiuta a individuare le parti in cui è organizzato il testo del documento, articolazioni che rispondono a consuetudini d’uso e a esigenze formali e giuridiche; la pergamena infine richiede di essere contestualizzata a livello archivistico per poter essere correttamente collocata nel suo ambiente di produzione e di destinazione.
Nel corso dell’attività di questi vent’anni trascorsi negli archivi ho visto pergamene bellissime, oggetti di raffinata fattura con capilettera miniati e raffigurazioni di stemmi; firme autografe di personaggi illustri della storia, quelli di cui si raccontano le imprese nei manuali. Ho avuto la fortuna di “incontrare” anche un documento longobardo, appartenente alla cultura di quel popolo austero e fiero di cui tutti ricordano la regina per la sua corona conservata nel Duomo di Monza.
Ho letto storie di condottieri di ventura, investiture di sovrani, racconti di feste e matrimoni, ma anche note operative di mercanti che commerciavano, che davano un prezzo alla loro merce, che andavano dal notaio per affittare o per comprare casa. Ho conosciuto, dalle loro voci, uomini e donne leggendo testamenti e contratti di dote; ho intravisto stralci di storie familiari attraverso le lettere che gli esponenti della famiglia si scambiavano, in cui raccontavano di sé, di quello che facevano e della società in cui vivevano.
L’elenco delle tipologie dei documenti e dei complessi di documenti che si possono incontrare negli archivi è davvero lungo; in un archivio non ci si annoia mai…
Nel corso del tempo modalità, risorse, esigenze e consuetudini legate alla produzione e all’utilizzo dei documenti sono cambiate profondamente.
L’ingresso delle tecnologie nella generazione dei documenti digitali ha reso necessarie, anche a fronte di normative specifiche, figure professionali che potessero occuparsi della progettazione, dello studio, della gestione e dell’utilizzo di tali documenti, a volte ancora prima della loro produzione.
La competenza archivistica tradizionale poteva e può adattarsi alle esigenze che s’impongono?
Partiamo dall’origine. L’archivista ha un suo settore specifico di conoscenza e d’intervento: «L’archivista è specialista di archivi»1. L’archivista elabora nel corso del suo lavoro e della sua esperienza, sulla base della conoscenza teorica e normativa acquisita, un metodo e una pratica d’indirizzo che gli permettono di orientarsi nella varietà delle tipologie di archivi. Questo è lo zoccolo duro, le fil rouge che deve accompagnare il professionista nella sua attività lavorativa.
Ma naturalmente ciò non basta.
La complessità e la peculiarità tipologiche di alcuni documenti e di alcuni supporti, come possono essere le pellicole o le fotografie ad esempio, richiedono la conoscenza tecnica dell’“oggetto archivistico” e del suo processo di produzione.
I documenti digitali, per essere compresi nella loro capacità di rappresentazione, richiedono conoscenze informatiche e consapevolezza d’uso degli strumenti tecnologici. La gestione dei processi documentali digitali, spesso affidata all’interno delle aziende al settore IT, beneficerebbe dell’interdisciplinarietà data dalla somma di approcci differenti: IT, ufficio compliance e/o legale, organizzazione e/o risorse umane, competenza archivistica. Come interagisce la competenza archivistica con le altre funzioni? La competenza archivistica può porsi come tramite tra i diversi settori laddove si tratti di trovare l’applicazione concreta di una norma, prima vagliata insieme alla compliance e poi condivisa con l’IT; oppure quando è necessario spiegare a un cliente, che ha affidato il suo archivio all’outsourcer di conservazione, l’opportunità di fornire determinate informazioni sulle modalità di formazione di una particolare tipologia di documento o di serie documentale.
Le emergenze di questi ultimi anni, mi verrebbe da dire, sull’orizzonte archivistico sono due:
1. gli archivisti non operano più solo nella fase storica del documento, ma sono presenti fin dalla sua concezione;
2. mai come in quest’epoca, in cui l’efficienza e la velocità connotano i processi, un archivio ben progettato e costruito può diventare un asset a servizio dell’istituzione.
Ma come ci si pone nei confronti della committenza?
Gli scopi delle istituzioni culturali sono molto diversi da quelli delle aziende.
L’istituzione culturale ha come destinatario finale del bene-“archivio” il fruitore del bene stesso: le sue azioni sono quindi finalizzate a tutelare il bene, che ha storicamente perso la sua vitalità operativa, sotto diversi profili (normativo, fisico, etc.), a conservarlo, a studiarlo e a promuoverlo perché il fruitore ne possa fare uso (per suo interesse, per finalità di studio, per esigenze amministrative).
Il destinatario dell’azienda è il cliente, che paga l’azienda per un servizio di cui si fida. Anche in questo caso l’archivio “in affido” è l’oggetto della cura aziendale con la differenza, rispetto all’istituzione culturale, che l’archivio affidato è ancora vitale e dalla sua gestione derivano una serie di ricadute legate all’accessibilità, alla fruizione, alla trasparenza. Quindi maggiori oneri e responsabilità, ulteriori costi.
Il contributo archivistico in questo caso ben può spiegare alla committenza e ai colleghi degli altri settori l’importanza di accessibilità, fruizione, trasparenza quando si parla di archivi e le condizioni imprescindibili che ne garantiscono la presenza e l’utilizzo nel tempo.
Mi sembra che le parole di Annantonia Martorano ben descrivano il requisito di flessibilità di cui l’archivista dovrebbe corredarsi per “stare sul confine”: polimorfismo, che richiede all’archivista un’ulteriore trasformazione da «animaletto innocuo e benefico, pago dei suoi studi di nicchia» e custode del passato a precursore vigile e “liberale” del corretto ciclo vitale dell’archivio affinché se ne possa rafforzare il valore giuridico del presente e quello storico della memoria futura.
Lavorare sul confine dunque, tra passato (prossimo / remoto) e presente, tra presente e futuro, richiede uno sforzo di adattamento continuo e un progressivo confronto con la realtà che cambia e con le richieste che emergono. Oggi più che mai, le professioni si costruiscono con la formazione e con il confronto con le altre discipline, anche mutuando metodi da ambiti diversi per elaborarne un’applicazione nel proprio settore.
Flora Santorelli Dopo la laurea in lettere classiche e il titolo di archivista, ha maturato e sviluppato negli anni competenze differenziate nell’ambito della gestione e della fruizione dei beni archivistici. Riordina, inventaria, rende fruibili a utenti diversi archivi di persona, di famiglia, di studi professionali, di istituti culturali, di imprese e di enti. È paleografa, ha conoscenze cioè di storia della scrittura, competenza necessaria per l’esame di documentazione antica manoscritta. Ha collaborato a diverse iniziative di valorizzazione del patrimonio archivistico anche legate ad attività didattiche e di formazione. Svolge consulenza per la gestione della documentazione corrente cartacea e digitale. Lavora come libera professionista con base a Milano.
(1) C. Bianchi e T. Di Zio (a cura di), L’archivista sul confine. Scritti di Isabella Zanni Rosiello, Roma 2000 (2) https://www.officinadellastoria.eu/it/2019/01/09/larchivista-una-figura-in-costante-trasformazione/ (3) Annantonia Martorano, Bibliothecae.it V (2016) 1, 357-358, recensione a Federico Valacchi, Diventare archivisti. Competenze tecniche di un mestiere sul confine, Milano 2015.
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