Spesso si pensa che il digitale sia soprattutto questione di soldi. E' un errore grave, che ha generato fallimenti come M9, dove a fronte di investimenti plurimilionari il museo rischia di fallire.
Il digitale nei musei funziona solo se si ha in mente il proprio pubblico e gli si offre un'esperienza coinvolgente, culturalmente utile e facile da usare. A questo proposito vogliamo segnalarvi due esempi che abbiamo visitato entrambi la settimana scorsa, uno a Padova e uno a Settimo Torinese, ancora una volta a dimostrazione che non è necessario essere nelle grandi città per fare qualcosa di buono.
L'esempio di Padova è il MUSME, il museo di storia della medicina. E' un museo altamente interattivo, che ha usato nell'allestimento praticamente tutte le tecnologie conosciute, dal video mapping agli ologrammi fino alle postazioni variamente interattive. Ecco un breve elenco delle tecnologie che abbiamo visto al museo e il loro uso:
Cosa ci è piaciuto particolarmente del MUSME? L'attenzione ai dettagli:
Nella timeline interattiva gli schermi sono ad altezze diverse per essere fruibili anche da bambini e persone in carrozzina.
Le interviste interattive salvano le risposte dei visitatori facendoti sentire parte di un tutto.
Le scritte sono ben contrastate, brevi, chiare e leggibili.
I grafici sono colorati e divertenti.
La tecnologia non è praticamente mai usata solo in quanto "tecnologica", ma è sempre un elemento del mix.
Come si vede in questo breve video, un multitouch viene usato per indagare il corpo umano. L'esperienza è facile, affascinante e divertente, le icone chiare e il funzionamento fluido.
Dulcis in fundo, l'intero allestimento del museo è costato appena 800.000 euro, una cifra molto bassa rispetto al risultato, e questo è stato ottenuto con un insieme di scelte di tecnologie "off the shelf" e di personalizzazione in house, puntando sempre alla soluzione più semplice ed efficace.
Un altro esempio di mostra interattiva, facile, divertente e a basso costo è la mostra Pixelfaces presso l'Ecomuseo del Freidano a Settimo Torinese. Qui si parte da un'idea molto semplice ed efficace, che descriviamo con le parole dei curatori, lo studio Imperfect di Torino: "Digitalizziamo tutto, persino noi stessi, tanto che anche noi - come i film, i giochi e le opere - siamo fatti della stessa sostanza dei... pixel! Ma allora, qual è il numero minimo necessario a rappresentare univocamente un soggetto? Quanti ne occorrono per riconoscere un personaggio, un quadro o un'icona?"
Da qui il concept della mostra: prendere foto famose e ridurle di risoluzione fino a renderle (quasi) irriconoscibili. Il risultato è una mostra-game in cui si fa a gara per riconoscere le immagini così distorte e ridotte ai minimi termini. Ci si diverte sia da bambini che da adulti, perchè ogni età trova un riferimento ludico e anche un appiglio per pensare (qual è il significato delle icone? come funziona il nostro meccanismo di riconoscimento delle immagini?).
E la tecnologia? A parte l'ovvia presenza nel tema e nella generazione delle immagini, è stata usata in modo sottile, sperimentale ma non sbruffone. Eccone qualche esempio:
La Realtà Virtuale e il metaverso sono presenti come una stanza all'interno di Spatial.io, uno dei sistemi più semplici e diffusi. I visitatori potevano collegarsi al metaverso tramite il proprio smartphone, scaricando l'app di Spatial, o esperirlo tramite un Oculus Quest 2 a disposizione.
Una dimostrazione semplice ed efficace, senza troppi fronzoli, che almeno permette di farsi una idea iniziale di questi sistemi di cui spoesso si è solo sentito parlare.
La Realtà Aumentata invece è rappresentata da uno schermo che proietta in tempo reale l'immagine pixellata dei visitatori, effetto scaricabile anche come filtro per Instagram da usare sul proprio smartphone.
Questi due esempi secondo noi dimostrano l'approccio giusto: partire da uno stile comunicativo ben preciso (didattico quello del Musme, giocoso quello di Pixelfaces) e sostenerlo coerentemente con un uso accorto delle tecnologie già esistenti, senza fanfare ma cercando di sfruttarle al meglio per dare all'utente l'esperienza migliore.
Il risultato sono esperienze coinvolgenti, divertenti, educative e replicabili. Purtroppo, il contrario di quelle che troviamo in molte esperienze tecnologiche più costose e blasonate.
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