Uno dei “pandemic objects” del Victoria&Albert Museum
Di Paola d’Albore
I musei già da qualche anno si trovano a dover ridefinire il proprio ruolo all’interno della società, a dover ripensare la loro identità e a trovare nuovi paradigmi di riferimento rispetto a quelli che sono stati seguiti fino alla fine del secolo scorso. Eilean Hooper-Greenhill in Museums and Education: Purpose, Pedagogy, Performance (2007), definisce ‘post-museo’ il risultato di queste trasformazioni che hanno portato a una riconsiderazione del rapporto dinamico con l’audience, alla promozione dei principi di uguaglianza e di inclusione culturale e sociale, tenendo conto dei bisogni della comunità e promuovendo la partecipazione e il coinvolgimento del pubblico.
Nonostante la forzata chiusura degli ultimi mesi, molti musei si sono dimostrati particolarmente attivi nell’andare incontro alle esigenze e ai bisogni della comunità nella situazione di emergenza, ampliando la loro offerta per coinvolgere e confortare il proprio pubblico in autoisolamento attraverso numerose iniziative: non solo mostre in formato digitale, visite guidate virtuali e varie attività promosse attraverso social media e siti web, ma anche offrendo la propria disponibilità a donare dispositivi di protezione come guanti, mascherine e occhiali.
Il ruolo che il museo sta ricoprendo durante l’attuale pandemia sembra rispecchiare l’idea di James Clifford su come il museo funzioni in società, ovvero come spazio permeabile di incontri transculturali, come ‘zona di contatto’ che enfatizza la natura interattiva delle relazioni tra le comunità e i musei. Il museo è pensato non come istituzione che esercita una autorità, ma in modo molto più flessibile e ampio, in cui culture differenti interagiscono e si influenzano a vicenda.
Un aspetto particolarmente interessante dell’attuale attività dei musei consiste nell’aver creato uno spazio per la condivisione delle esperienze coinvolgendo il pubblico nella creazione di contenuti, a futura memoria. L’oggetto ‘da museo’ diventa l’esperienza vissuta in tempo reale dalla comunità, stimolando uno scambio dialogico diretto con il pubblico. Queste iniziative dimostrano come il punto di vista univoco della narrazione si moltiplichi attraverso la polifonia delle voci chiamate a raccontare la propria storia, a rappresentare la loro stessa esperienza di vita vissuta.
Il Museum of Ordinary People (MOOP), con il progetto #TheseTimes: Collecting Contemporary Culture, invita il pubblico a condividere con il museo un diario che raccolga le esperienze vissute durante la pandemia, per utilizzarlo sia come strumento per elaborare il proprio vissuto emotivo e creare uno spazio aperto alla riflessione, sia come testimonianza per le generazioni future. La raccolta di pensieri, emozioni e esperienze andrà in seguito a far parte della collezione permanente del museo.
Il Museum of London ha avviato una nuova iniziativa, #MuseumForLondon, dove il cambio di preposizione indica il passaggio da istituzione dedita a raccontare la storia di Londra e dei suoi cittadini in organizzazione che supporta le sue comunità. Oltre alle esperienze personali della vita dei londinesi in lockdown, il museo si sta impegnando nella collezione di oggetti fisici e digitali legati ai diversi aspetti della pandemia, con un particolare focus su tre aspetti: la trasformazione degli spazi fisici all’interno della città; le esperienze dei lavoratori impiegati nel settore dei servizi essenziali; le modalità con cui bambini e ragazzi stanno affrontando questa situazione ora che la maggior parte delle scuole sono chiuse.
Pandemic Objects è il progetto online del Victoria and Albert Museum, il cui scopo è indagare il ruolo cruciale svolto dagli oggetti di uso comune che si sono trovati all’improvviso investiti da nuovi significati – la carta igienica che diventa improvvisamente simbolo del panico pubblico oppure il termometro che si trasforma in simbolo del controllo sociale – nel tentativo di offrire un quadro composito della pandemia.
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