Vogliamo prendere in considerazione alcuni interessanti esempi di incontro tra arte e tecnologia che hanno come soggetto Vincent Van Gogh e la sua arte, che affascina a quanto pare non solo gli amanti della pittura ma anche gli sviluppatori, che hanno reinterpretato alcune sue opere durante mostre dedicate, visual project e gaming experience.
Van Gogh in VR
Borrowed Light Studios a Brooklyn e il suo game developer Mac Cauley, hanno sviluppato un programma beta scaricabile di realtà virtuale dal nome “The Night Café: A VR Tribute to Van Gogh”, che permette indossando i visori Gear VR di immergersi e visitare una ricostruzione del celebre quadro “A Night Cafè” di van Gogh, disegnata con i tratti inconfondibili del celebre artista olandese. Il risultato è di sicuro impatto e incuriosisce.
Lo sviluppatore si è ispirato ad alcuni tra i più famosi dipinti di Van Gogh per creare l’ambiente virtuale e sottotitola il progetto così “What did the world look like through Van Gogh’s eyes? Enter into his painting to find out.” Entrare in un quadro e muoverci in uno spazio tridimensionale superando la superficie 2D modifica profondamente l’esperienza dello “schermo di tela” di un dipinto e pone tante domande sull’uso di una tecnologia simile in un possibile contesto culturale (gamification, divulgazione, marketing…).
Nella presentazione del suo progetto su challengpost.com, Mac Cauley spiega l’innovazione del suo lavoro: “Sono sempre stato attratto da i dipinti di Van Gogh e ho immaginato che sarebbe stato fantastico essere all’interno di uno di questi mondi colorati. I GearVR offrono alcune sfide per i loro limiti tecnici rispetto a un PC, costringendomi a selezionare solo alcuni aspetti a cui dare priorità nella visualizzazione e quindi a definire bene ciò che rende la pittura di Van Gogh unica. Durante la creazione degli ambienti di questi dipinti nello spazio 3D, ho dovuto espandere la visuale su aree che non possono essere viste nei dipinti; camere dietro le porte, oggetti nascosti alla vista, personaggi di spalle rispetto allo spettatore. E’ stato un processo interessante nell’uso diretto del materiale di riferimento da Van Gogh e da altri pittori espressionisti, ma anche immaginando quello che sarebbe potuto essere lì, appena fuori dai bordi della tela.”.
La multimedialità offerta quindi non tende solo a superare i confini dello spazio dimensionale, ma a creare nuovi spazi interpretando attraverso la digitalizzazione di oggetti e visioni mai disegnate da Van Gogh, avvicinando così l’esperienza al puro gaming più che alla divulgazione culturale, come confermato dallo stesso creatore. La VR ha proprio questo compito: rendere reale l’assurdo, meravigliare, e ispirare emozioni.
Van Gogh da toccare
Petros Vrellis, ingegnere elettronico greco con un master in Art Science, ha sviluppato un’installazione multimediale totalmente differente sul pittore olandese, chiamata “Starry night” dall’omonimo dipinto.
Lui stesso si considera più un “toy-inventor” che un artista e ritiene che la cosa più importante sia quella di trovare nuovi modi per “giocare”, sperimentando anche rompendo le regole. L’esperienza qui proposta si basa sulla digitalizzazione dello spazio della tela, che animandone la tipica turbolenza dell’arte di Van Gogh, permette un’interazione con essa. Pur trattandosi di gaming, si percepisce una scelta comunicativa nel rapporto tra tecnologia-arte più a favore dell’arte, proponendo un’esperienza digitale personalizzabile e interattiva. Lo spazio rimane quello originale, bidimensionale e senza profondità, e tutto avviene su una superficie finita come nel quadro.
Van Gogh prende vita
Il dinamismo delle opere di Van Gogh viene ripensato anche nell’esperimento di Luca Agnani, esperto di animazioni 2D e 3D di Macerata, che aggiunge digitalmente delle ombre ad alcune opere celebri in un video-animazione presentato nel 2013 ad Amsterdam al Van Gogh Museum dal titolo Van Gogh Shadow.
La tecnica usata riprende quella della cinemagrafia, molto utilizzata e diffusa ormai, che rende possibile la percezione del movimento di alcuni elementi tra i tanti statici di una fotografia. La multimedialità qui sfonda non solo la dimensione spaziale, ricreando una profondità grazie alle ombre, ma anche temporale attraverso il movimento di queste. Lo schermo è totalmente abbattuto ed è percepito come una finestra su uno spazio complementare al nostro, uno spazio vero, dove avvengono e vivono cose e persone, ed è proprio grazie a questa percezione che riusciamo ad emozionarci come durante la visione di un film, pur sapendo della finzione.
Van Gogh Alive
A Firenze si è conclusa il 2 giugno una mostra completa dal titolo “Van Gogh Alive – The Experience”, nella chiesa di Santo Stefano al Ponte.
Nessun quadro originale era presente, ma un’istallazione multimediale sapientemente progettata ha indagato sul percorso artistico dell’artista proiettando le tele più famose in alta definizione su grandi schermi, che nel buio completo della sala ha creato momenti molto suggestivi. Non solo dipinti, ma sono state proposte anche alcune lettere del fitto scambio epistolare con il fratello Theo, rendendo l’esperienza intima e vicina all’arte tormentata di Van Gogh.
Van Gogh ai limiti della realtà
Un esempio estremo, ai limiti dell’annullamento dello spazio e del tempo dell’opera originale, è presentato da un interessante test 3D fatto da Streamcolors, uno studio di arti digitali con base a Milano.
Qui seppur percepita la connessione con l’artista, questa sembra avvenire in un universo parallelo, in cui il dinamismo del tratto di Van Gogh è sostituito da pixel e texture che formano un movimento circolare in segmenti che occupano uno spazio tridimensionale, in cui è possibile navigare e perdersi. Interessante come questa connessione è visiva all’esterno (riconosciamo l’autoritratto) ma una volta immersi ci viene proposta una complessità strutturale quasi casuale, impossibile da decifrare: forse un’interpretazione dell’anima inquieta dell’artista?
Il digitale anche nel rinascimento
Interessante è pensare che tutti questi esempi multimediali dedicati a Van Gogh lavorino per ridare uno spazio nuovo a ciò che lo stesso autore ha volutamente pensato privo di spazio, bidimensionale, piatto, in completa antitesi con la ricerca di profondità degli affreschi rinascimentali attuata attraverso la prospettiva.
Forse è in opere come “La scuola di Atene” di Raffaello che risulta più facile declinare in chiave digitale il rapporto tra le tre dimensioni e la loro percezione.
La tecnica della dimensionalizzazione permette di percepire su diversi piani i soggetti disegnati, attraverso un movimento digitale della camera. Questa soluzione sembra essere più in sintonia con l’opera di Raffaello, poiché esalta quella profondità tanto ricercata dall’autore nell’opera stessa e così sapientemente ricostruita.
Arte e tecnologia: ci sono rischi?
Parlando di multimedialità soprattutto nella fruizione dell’arte bisogna intersecare con particolare bravura alcuni fattori e come racconta Giuliana Bruno, professore di Visual and Environmental Studies ad Harvard, è lo spazio, e quindi l’uso delle superfici, il perno principale su cui percepiamo un’esperienza multimediale.
Ciò accade poiché è in questa dimensione che c’è il primo contatto tra tecnologia e arte: ogni pittore si è esposto all’uso di uno schermo (anche se fatto solo di tela) e ha affrontato il dilemma di come superarne i confini fisici per emozionare. Allo stesso modo cerchiamo oggi di fare altrettanto con le tecnologie a nostra disposizione. Questi esempi di applicazione tecnologiche all’arte dimostrano da un lato una certa maturità tecnica, dall’altro sono esposti ad alcuni rischi che richiedono grande sapienza ed equilibrio nella nella progettazione e nello sviluppo.
Questi rischi sono dovuti al processo stesso di digitalizzazione che, applicato al campo dell’arte, dimostra molti suoi limiti. Esso prevede una trasposizione in digitale di elementi reali, ma la realtà di un quadro è costituita da una vastità di elementi tangibili (il tratto di colore lasciato da un pennello) e intangibili (l’emozione) che non possono essere digitalizzati. Ciò spinge chi usa la tecnologia a reinterpretare questo gap nel momento in cui propone una copia digitale, e diventa essenziale chiedersi: ma a quale scopo?
Difficile dare risposte semplici, proprio perché nell’arte l’interpretazione della realtà è già avvenuta in maniera “analogica” nell’opera dell’artista, e questo porterebbe a pensare che le applicazioni tecnologiche possano entrare in contrasto con questo processo, offrendo poche possibilità di implementare la cognizione di un’opera d’arte. Ma l’arte è un flusso continuo di ispirazione e, parlando di spazio, non può essere racchiusa nelle dimensioni di un quadro, ma ha bisogno di rivivere negli occhi e nelle menti di chi osserva.
Per vedere quest’arte bisogna saperla riconoscere: che le tecnologie possano servire a questo? Ad allenare l’occhio attraverso complessi messaggi d’arte inseriti nel gaming? Proporre esperienze hi-tech emozionanti può accendere l’interesse verso il soggetto al centro di tali esperienze?Soprattutto, il nostro Van Gogh ne sarebbe contento? Probabilmente pensare a come l’artista stesso avrebbe utilizzato la realtà virtuale, aiuterebbe molto a progettare applicazioni sempre più interessanti.
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