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Cosa resterà di queste visite virtuali?

Visita virtuale al Museo Poldi Pezzoli

Visita virtuale al Museo Poldi Pezzoli


Di Giuliano Gaia e Stefania Boiano, InvisibleStudio

Per una pura casualità siamo stati tra i primi in Italia ad organizzare una visita virtuale ad un museo in lockdown. Il 9 marzo l’Italia è diventata zona rossa e l’11 marzo noi avevamo una visita guidata programmata al Museo Poldi Pezzoli per il master in beni culturali di RCS Academy. Rapidamente, insieme con Stefania Rossi, responsabile comunicazione e promozione del museo, abbiamo dovuto inventarci un format.

Lo abbiamo fatto unendo gli strumenti che avevamo: Zoom per la visita e Google Arts&Culture per l’esperienza immersiva nel museo, con la possibilità di ingrandire le opere ad altissimo livello di dettaglio. Per quanto del tutto nuovo, il format si è dimostrato subito funzionale, al punto da essere poi portato avanti dal Gruppo Giovani del Museo, fino a raggiungere numeri importanti in termini di visite organizzate e persone servite. Il vero motivo del successo è stato l’elemento umano: gli spazi virtuali sono stati trasformati da esperienza solitaria ad esperienza sociale condotta da una guida. Ne abbiamo scritto anche su Artribune.

E alla fine del lockdown, cosa resterà? I musei hanno due strade di fronte a sé: o tornare lentamente al “Business as usual”, lasciandosi alle spalle questo periodo di visite virtuali come un brutto ricordo, o tentare di capire se alcuni aspetti delle visite virtuali possono essere salvati, magari andando a integrare l’offerta di visite “live” tradizionali.

Noi siamo decisamente per questa seconda ipotesi. Abbiamo sperimentato molto in questi due mesi: le visite virtuali con enigmi al Poldi Pezzoli,  i workshop virtuali di scrittura creativa al Museo della Bora e al Museo Dolom.it e una serie di gite virtuali nei musei di Londra per la scuola media Leonardo Da Vinci di Bergamo. Tutti questi esperimenti lo hanno confermato: c’è un futuro per le visite virtuali, sia come anteprima della visita reale che per tutti quelli che comunque non possono visitare fisicamente il museo.

Takeaway: solo l’elemento umano rende il virtuale un’emozione.

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