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Digital Media e “democratizzazione” del messaggio museale


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Visitatori al Louvre


Di Paola d’Albore

Fin dagli ultimi decenni del secolo scorso l’autorità del museo come unico depositario del sapere ha cominciato ad essere messa in discussione. Questa spinta verso la democratizzazione e la partecipazione del pubblico alla co-creazione della conoscenza è stata sostenuta da vari fattori come, ad esempio, l’applicazione dei metodi di indagine statistica al mondo della cultura. 

Uno dei primi e più autorevoli studi sociologici sui frequentatori dei musei, L’amore dell’arte, è stato condotto da Pierre Bourdieu in collaborazione con Alain Darbel e Dominique Schnapper nel 1966. I risultati di questa indagine all’epoca ebbero un enorme impatto e portarono al riconoscimento dell’esistenza non di un unico pubblico, ma di pubblici socialmente differenziati, e alla scoperta che l’accesso alla cultura è caratterizzato da una forte disuguaglianza sociale in favore delle classi più ricche di capitale culturale.


The British Museum: the Etruscan Room, with visitors. Wood engraving, 1847.. Credit: Wellcome Collection. Attribution 4.0 International (CC BY 4.0)

The British Museum: the Etruscan Room, with visitors. Wood engraving, 1847.. Credit: Wellcome Collection. Attribution 4.0 International (CC BY 4.0)


Questa ricerca evidenziò anche che la disposizione alla cultura non è innata ma socialmente appresa. La mancanza del riconoscimento degli aspetti sociali che influenzano l’accesso alla cultura funziona quindi da ostacolo alla democratizzazione della cultura stessa.

Un altro fattore che ha contribuito al riconoscimento del ruolo del visitatore dei musei come attivo partecipante e interprete è stato l’avvento delle nuove tecnologie dell’informazione. Grazie all’evoluzione degli studi sulle comunicazioni di massa e, in particolare, con il passaggio dal paradigma informazionale a quello relazionale, è stato evidenziato che il messaggio non è immutabile, oggettivo e neutrale, ma è attualizzato e interpretato da un ricevente che non è un contenitore passivo, ma un soggetto attivo inserito in un contesto socio-culturale con un proprio bagaglio di conoscenze e esperienze.

Il museo contemporaneo si trova dunque nella condizione di dover ripensare il suo rapporto con il pubblico e, in parte, a dover abbandonare il suo ruolo di archivio universale, esclusivamente dedito allo studio e alla conservazione di opere di valore storico-artistico per occuparsi, in primo luogo, di apprendimento e di trasmissione culturale, adempiendo al suo imprescindibile ruolo sociale attraverso l’incoraggiamento alla partecipazione, alla discussione, alla collaborazione tra diverse entità, alla condivisione delle idee e dei punti di vista dei pubblici utilizzando diverse forme di espressione.

L’oggetto storico-artistico viene estrapolato dal contesto museale istituzionale, che per certi versi lo ha reso muto, e reimmesso nel contesto storico-sociale attualizzandosi mediante il suo valore comunicativo e relazionale, più che oggettuale. L’opera, una volta reinserita nel contesto sociale da cui proviene, è in grado di riacquisire la parola e di stimolare un dibattito critico in cui i significati vengono continuamente rinegoziati tra i vari soggetti che partecipano al processo comunicativo.

Una delle più importanti caratteristiche che distingue le nuove tecnologie digitali della comunicazione da quelle analogiche, non è il diverso supporto tecnologico, ma il fatto che le rappresentazioni prodotte da un medium vengono integrate in un altro medium, processo definito come ri-mediazione. Attraverso la ri-mediazione si richiama l’attenzione di chi osserva non solo sulla rappresentazione in sé, ma anche sul contesto e sul modo in cui viene presentata. 

Se consideriamo il museo stesso come un medium comunicativo, la ri-mediazione può funzionare come spazio critico per la messa in discussione dei valori assoluti di cui il museo tradizionale si fa portavoce, grazie all’utilizzo di diverse forme mediali di rappresentazione che producono naturalmente un effetto pluralizzante, oltre a sottendere una logica non-lineare di conoscenza che favorisce la personalizzazione dei processi di apprendimento. 

In questo modo si mette in atto un movimento verso la moltiplicazione dei punti di vista che risulta l’esatto opposto del movimento unificante e omogeneizzante della comunicazione museale tradizionale, portavoce di significati immutabili e di contenuti universalmente validi e accettati.

Il fatto che lo stesso contenuto venga mediato e rimediato in continuazione attraverso più media contemporaneamente richiama l’attenzione sulla natura mediata dell’esperienza e un’esperienza mediata è sempre costruita, nonostante pretenda di presentarsi come neutrale e trasparente. Attraverso la moltiplicazione dei punti di vista sul medesimo oggetto si concentra l’attenzione sulla natura parziale e non neutrale della rappresentazione stessa. Come aveva dichiarato Marcel Duchamp, “è lo sguardo dell’osservatore a fare il quadro”. 

Anche lo spazio museale non è mai neutrale, agisce attivamente sul significato delle opere che espone e le nuove tecnologie digitali hanno la capacità, intrinseca alla loro natura ipermediale, di contribuire a vanificare la pretesa di trasparenza e neutralità attraverso la moltiplicazione dei punti di vista sulla stessa rappresentazione.


Home Page Rijks Studio.

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Per venire a casi concreti, ecco due esempi interessanti.

Il 25 febbraio 2020, lo Smithsonian Institute ha reso liberamente consultabili, attraverso la piattaforma online Smithsonian Open Access, quasi tre milioni di immagini 2D e 3D ad alta risoluzione, provenienti dalle ricche collezioni di tutti i musei e dei centri di ricerca che fanno parte del più grande complesso museale al mondo.

Open Access invita attivamente studenti, artisti, educatori e il pubblico in generale, a collaborare con l’Istituto e i suoi curatori nel portare alla luce storie sconosciute, legate ad immagini nascoste negli archivi del museo. L’iniziativa senza precedenti, per volume e multidisciplinarità , offrendo agli utenti la possibilità di condividere, utilizzare e modificare le immagini dello Smithsonian, incoraggia e promuove un processo di reinterpretazione e di ricontestualizzazione delle opere e delle testimonianze storiche e scientifiche.

Il Rijksmuseum di Amsterdam, già dal 2012, ha cominciato a digitalizzare le opere che fanno parte della propria collezione e a renderle disponibili al pubblico attraverso la piattaforma online Rijksstudio che, ad oggi, conta più di 220.000 opere. La particolarità di questa iniziativa consiste nell’aver reso disponibili immagini ad altissima risoluzione, attraverso una interfaccia semplice e intuitiva, per incoraggiarne l’utilizzo creativo da parte degli utenti e per avvicinare il pubblico alle opere. In questo modo, le immagini possono entrare a far parte di collezioni personalizzate, possono essere scaricate, osservate e selezionate nel dettaglio, manipolate a seconda della propria creatività e interessi e condivise con i propri amici attraverso i social media.

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