Dopo anni d’incertezze, paure e notizie poco confortanti, Expo mantiene la promessa e apre i battenti il primo maggio. Dimenticando le difficoltà e la sua storia travagliata ci siamo immersi per un giorno in questo grande parco delle Nazioni che sarà al centro del mondo per i mesi successivi.
Non basta certo un giorno per avere una visione completa dell’esposizione, ma è più che sufficiente per capire quanta tecnologia e innovazione sia percepibile in un progetto tanto complesso e variegato come Expo, che ha fatto proprio di questi strumenti i suoi punti di forza.
Già all’ingresso degno di un aeroporto ne abbiamo le prove: oltre il sistema di sicurezza di scansione dei bagagli e metal detector (che crea un po’ di confusione vista la mancanza d’informazioni sugli oggetti ammessi o no al parco), troviamo il tornello intelligente made in Italy “XVia”, motorizzato, con schermo LCD da 7 pollici, collegato alla rete e che legge qualsiasi tipo di biglietto o carta di credito. Almeno sulla carta, è proprio il caso di dirlo, visto che i qrcode su schermo smartphone rappresentano per esso qualche piccolo problema. Infatti, oltre a noi diversi visitatori nei dieci minuti intercorsi per far riconoscere il nostro schermo hanno avuto lo stesso problema. Rimaniamo fiduciosi e riconosciamo che probabilmente saranno tarati sempre meglio con l’uso intensivo.
Il decumano
Questo piccolo problema non ci ha distratto, e avviandoci verso il decumano, abbiamo acceso la connessione wireless del nostro smartphone e senza alcuna registrazione, cliccando su Wi-Fi EXPO ci siamo velocemente connessi al “cloud” dell’esperienza espositiva. Si perché una volta agganciati alla rete, la home page del nostro browser ci indirizzerà automaticamente al sito expo2015.org, che è stato ottimizzato per la navigazione da device portatili. Questa è stata la prima piacevole sorpresa: in un attimo abbiamo accesso a tutte le informazioni generali relative alla nostra giornata di visita, a tutti gli eventi che ci aspettano, con i relativi orari e localizzazione nei padiglioni. Sentiamo di avere il controllo sulla visita che ci aspetta, e riequilibriamo quel senso di spaesamento da parco giochi che i padiglioni (tutti diversi negli stili architettonici) creano a prima vista.
Decidiamo di passeggiare attraversando il decumano, cercando di orientarci e di goderci l’esperienza. “Ci siamo dimenticati di chiedere la mappa cartacea!”, ma i totem informativi, posti ai lati del decumano uno ogni 50 metri, ci ricordano di essere nel ventunesimo secolo, e sono ben visibili anche da lontano.
Sono composti da due schermi, uno superiore informativo e uno interattivo alla nostra altezza: il primo usato sia per le pubblicità commerciale che per avvisarci sugli eventi prossimi aggiornati ad ogni orario, il secondo è un touch screen con la mappa interattiva a volo di uccello di tutto il parco. Due menu laterali ci indicano uno i punti informativi attorno a noi, i servizi, i ristoranti, i trasporti, e l’altro ci offre l’esplorazione di EXPO, con la ricerca dei padiglioni e dei temi affrontati. Facile e intuitiva l’esperienza multimediale, semplice nelle gesture e nella lettura delle informazioni. Cerchiamo un padiglione e digitandone la lettera iniziale, ci è indicata la sua ubicazione e il percorso da seguire per raggiungerlo. Qualora volessimo interagire con l’app ci sono lettori di qrcode e sensori NFC su ogni totem.
L’app è un’altra felice sorpresa di EXPO: anch’essa dinamica e aggiornata ogni giorno in base agli eventi offerti nella fiera, con notifiche automatiche per gli eventi più vicini in ordine di tempo e localizzazione. Funziona anche senza registrazione, integra diverse pagine tra cui una molto utile come quella dei social, che ci indica gli utenti più attivi e seguiti (e di solito i più attendibili secondo twitter) sull’hashtag #expo2015, avendo così accesso a eventi magari impossibili da pubblicizzare in homepage.
L’app Expo
Un po’ meno efficace la pagina nell’app dedicata alla mappa, lenta nel caricamento meno interattiva dei totem, problema dovuto al fatto che la connessione sopporta migliaia di connessioni al minuto e la navigazione via browser risulta ovviamente più lenta. La copertura Wi-Fi è sufficiente all’esperienza e copre ottimamente tutta la lunghezza del decumano. Un po’ latente nei vari padiglioni, ma qui la maggior parte dei visitatori usa il proprio device per scattare foto e fare video che saranno condivise successivamente: che sia un consiglio indiretto al goderci senza essere disturbati lo spettacolo espositivo che ogni paese ospitato ci vuole offrire dopo anni di lavoro? Vediamola così!
Un giorno non basta certo per conoscere tutti i padiglioni, ma visitandone appena sei (nel nostro caso Israele, Italia, Svizzera, Cile, Sultanato dell’Oman e Francia) ci si rende conto di come lo sforzo di inglobare la tecnologia all’esperienza del visitatore per comprendere e usare le informazioni dentro un processo di storytelling, è stato il comun denominatore dei progetti espositivi. Sia chiaro, non tutti adottano schermi ultraHD o touch screen capacitivi, ma si ha comunque l’impressione che ci si trovi in un percorso dinamico di racconto e di viaggio usando sia tecnologie avanzate sia altre più semplici e standard.
La torre del caffè del padiglione svizzero
E’ il caso del padiglione svizzero che ci racconta quanto la sua produzione alimentare non si basi solo sulla cioccolata all’ombra di orologi a cucù, ma che tra le sue prime esportazioni è possibile trovare il caffè, il sale, mille tipologie di mele, e acqua. Tali alimenti sono stati racchiusi in quattro silos in versione monodose visibili anche dall’esterno nella loro quantità (misurati in tonnellate con un indicatore disegnato sulla facciata dell’edificio) che scemerà inesorabilmente man mano che i visitatori usufruiranno dei prodotti.
Siamo invitati in ogni stanza a prendere tanto caffè, mele, sale quanto ne vogliamo, starà a noi decidere se lasciare sufficienti monodosi anche per gli ultimi utenti che visiteranno il padiglione il 31 ottobre. Interessante connubio tra scoperta di un territorio che si vuole slegare dai cliché d’oltralpe, e di esperienza di visita singolare nella forma e nella sostanza.
Se parliamo di multimedialità, più stretta e riconoscibile, a servizio della rottura dei cliché legati a un territorio, sentiamo il dovere di parlare del padiglione del Cile. La multisensorialità è il filoconduttore nel padiglione sudamericano, che ci vuole far scoprire un paese tanto lontano alla periferia del mondo, quanto variegato nei suoi paesaggi e nella sua popolazione. In una prima stanza completamente buia ci accolgono gli addetti alla mostra, alla luce di otto schermi di due metri per uno, affiancati in un ideale viaggio dal nord al sud degli oltre 6000 km di lunghezza del paese, mostrandoci tutta la sua diversità.
In ogni schermo un video in presa diretta a camera fissa: in uno donne al lavoro in un vigneto che ricorda tanto le colline toscane, in un secondo un uomo che ci sorride intento alla raccolta in un frutteto, quasi volesse dire “non avresti mai immaginato un paesaggio simile in Cile, vero?”, in un altro una donna dell’Isola di Pasqua con un bambino che ci saluta con un sorriso all’ombra dei moai e avanti così fino al sud.
Le finestre paesaggistiche sul Cile
Abbiamo l’impressione che non si tratti in alcun modo di attori o comparse, ma di personaggi veri, radicati in quel contesto e così autentici in quel paesaggio. Un processo cognitivo che è coadiuvato dalla presenza di altoparlanti direzionali che ci immergono in quell’ambiente nel momento in cui ci poniamo davanti ad ogni schermo, facendoci ascoltare il suono ambientale originale del video, il vento, i passi della donna sull’erba fresca, le forbici che potano: quasi un romantico teletrasporto.
La donna protagonista dell’Isola di Pasqua
Arrivati all’ultima “finestra sul Cile” davanti ad un pescatore al lavoro in un porto racchiuso da ciò che potremmo riconoscere erroneamente come fiordi norvegesi, gli addetti ci invitano in un’altra stanza, attraversando un piccolo buio corridoio, seguendo i suoni provenienti da un altro spazio. Ci accoglie un’ideale balconata sul paese lunga circa 15 metri, abbracciata a 180 gradi da uno schermo curvo alto circa 6 metri, su cui un montaggio di alta qualità e di fine tecnica cinematografica ci immerge nei paesaggi mozzafiato cileni. Una brezza artificiale accompagna la visione e si adatta a ogni paesaggio, e giureremmo di aver percepito anche un cambio nell’umidità della sala, e se questo non fosse parte integrante dell’automatismo multimediale, di sicuro questa sensazione riflette il grado e la qualità d’immersione dell’esperienza.
Dopo poche ore di visita percepiamo il tentativo di affrontare i temi dell’esposizione in modo non lineare, multidisciplinare, e con l’ausilio di diverse tecnologie e che la scelta di queste siano sempre funzionali alla storia raccontata, a servizio di una mostra che mette al centro non un oggetto, un tema o un paese, ma il visitatore e le sue emozioni cercando di farle vibrare. In questo Expo sembra funzionare, e forse può anche insegnare, dimostrando il connubio tra tecnologia, innovazione e cultura cui i musei aspirano.
Torneremo presto ad Expo!
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