Di Annalisa Banzi
Visitatrici si rilassano al museo
Vi ricordate l’episodio di Pett Scott? Intervistato dal giornale canadese The Globe and Mail, dopo essere scampato all’attentato di Londra del 2005, si rifugiò nel suo luogo preferito, il Museo di Storia Naturale.
Nel tempo del Covid 19, il museo ha la grande opportunità di svolgere un ruolo centrale nella vita degli individui. Serve un luogo dove le persone possano sentirsi sicure e dove possano sperimentare la pace interiore, riducendo gli stati di stress, perché coinvolte in attività cognitive che le portano a essere contente di se stesse e dell’esperienza vissuta.
La Psicologia può suggerire strade che agevolano il perseguimento di questi obiettivi. Offrire stimoli visivi e semantici (a livello cosciente) che innescano o migliorano i processi di attenzione e memorizzazione è una modalità che può essere adattata ai diversi ambiti museali: agli allestimenti (temporanei o permanenti), alle pubblicazioni, alle app, ai laboratori e all’analisi di una comunicazione efficace sul sito e sui social network.
Un altro esempio. La Psicologia si può occupare anche del personale museale che svolge un ruolo fondamentale, poiché rappresenta per i visitatori il primo incontro con il museo, ancora prima delle collezioni. Cercare di comprendere le esigenze degli operatori, armonizzandone capacità e competenze, permette di creare una squadra affiatata che attraverso le parole e i comportamenti entra in relazione con i visitatori.
Sono, quindi, molti gli ambiti in cui può agire la Psicologia perché offre metodi e strumenti concreti, già validati nel settore scientifico, che si prestano ad essere adattati al mondo museale e alla sua varietà di destinatari.
Il pubblico è composto da esseri umani che, in primo luogo, hanno bisogno di essere accolti, e successivamente di essere aiutati a capire la storia e il significato degli oggetti esposti. Si tratta di mettere i visitatori nella condizione di poter recepire questi concetti abbassando i livelli di stress e, magari, di potenziale scoraggiamento dovuto a sfide cognitive troppo impegnative.
Il museo dovrebbe dotarsi sempre di più di un sistema di “apprendimento ipertestuale” chiaro, che permetta ai visitatori di selezionare il livello di approfondimento che si sentono di affrontare in quel preciso momento. Più l’esperienza è gratificante perché il livello di apprendimento è adeguato, più aumentano le competenze e le conoscenze, e più il visitatore tenderà a ripetere l’esperienza.
Le neuroscienze a loro volta possono misurare, a livello neurobiologico, l’esperienza museale creata con l’aiuto della Psicologia, offrendo strumenti di misurazione come le tecniche di Brain Imaging.
Queste tecniche hanno permesso notevoli avanzamenti nell’analisi del cervello “in azione”, ovvero nello studio delle reazioni e dei meccanismi cerebrali degli individui coinvolti in attività motorie, cognitive o percettive.
esempio di BCI per il mercato consumer: il NeuroSky MindWave
Una delle tecniche maggiormente impiegate per condurre indagini volte a comprendere i meccanismi cognitivi legati all’arte è l’elettroencefalografia (EEG). I dispositivi BCI (Brain Computer Interface) sono semplificazioni dell’apparecchiatura medica per EEG, che permettono la registrazione dei ritmi cerebrali. Nati per l’entertainment (nell’ambito dei videogiochi), i BCI non hanno bisogno di cavi di connessione, ed hanno un raggio di azione di 10 metri. Presentano diversi vantaggi come mettere a proprio agio il soggetto che li indossa, e permettere ampia libertà di movimento all’interno di un ambiente come il museo o uno spazio espositivo.
Alcuni di questi dispositivi analizzano anche i movimenti miografici (i movimenti dei muscoli facciali) e i battiti delle palpebre.
Le frequenze cerebrali registrate dai BCI sono raggruppate in ritmi:
la banda alfa (7 Hz – 14 Hz) rileva stati di rilassamento, meditazione e contemplazione;
la banda beta (14 Hz – 30 Hz) è collegata al pensiero attivo, all’attenzione e alla soluzione di problemi concreti;
la banda delta (3 Hz – 7 Hz) è associata ad attività di attenzione continua;
la banda theta (4 Hz – 7 Hz) riporta i casi di stress emotivo, quale frustrazione e disappunto;
la banda gamma (30 Hz – 80 Hz) viene messa in relazione, generalmente, con l’interpretazione cognitiva di segnali multi-sensoriali.
Questo è un esempio di come le Neuroscienze, insieme ad altri strumenti di valutazione già in possesso dei musei, possano arricchire di nuovi dati l’analisi dedicata al miglioramento dell’esperienza museale.
Tornando all’episodio di Pett Scott, possiamo concludere che in questo momento, più che mai, abbiamo bisogno di un museo “umano”, frutto di un’evoluzione maturata anche grazie ai contributi della Psicologia e delle Neuroscienze.
Annalisa Banzi ha un Ph.D. In Interazioni umane: psicologia dei consumi, comportamento e comunicazione. Storica dell’arte, consulente e ricercatrice presso il CESPEB dell’Università Bicocca, ha una specializzazione interdisciplinare in museologia, psicologia e neuroscienze finalizzata a migliorare la divulgazione dei contenuti museali.
Nell’ambito dell’attività didattica universitaria ha progettato e realizzato attività legate alla fruizione e all’esperienza museale.
Autrice di numerose pubblicazioni sul tema e Associate Editor per la rivista The International Journal of the Inclusive Museum – Common Ground Publishing.
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