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Humour inglese nei musei

Quando anche il curatore ha voglia di divertirsi.

Di Giuliano Gaia e Stefania Boiano.

Molto si è detto e studiato sulla gloriosa tradizione museale britannica, ma c’è un aspetto che non è molto citato, ed è quelsottile senso dell’umorismo che spesso fa capolino nei luoghi più inaspettati, quali i più importanti musei di Londra.

Qualche esempio? Il Natural History Museum di Londra ne è pieno: la Terra con gli occhiali da sole per illustrare gli effetti della luce solare sul nostro pianeta non è che un esempio dell’allestimento intrigante e anticonvenzionale del Museo (che non a caso ha messo in Home Page del proprio sito uno dei giochi architettonici del suo splendido edificio: una delle molte scimmiette di terracotta che fanno capolino tra le solenni arcate neoromaniche).

La Tate Britain ha appena inaugurato una serie di brevissime guide a tema della sua vasta collezione: la collezione per chi ha fretta, per chi non c’è mai stato, per chi è stato appena lasciato, per chi vuole far colpo su una ragazza e anche per chi ha bevuto troppo la sera prima (situazione molto comune in Inghilterra!), il tutto con uno stile molto leggero e scanzonato.

Ma la voglia di divertirsi dei museali inglesi va al di là di una comunicazione brillante e anticonvenzionale, e arriva fino a concepire veri e propri “scherzi” allo spettatore. Ne siamo stati testimoni proprio recentemente nel Science Museum. La Wellcome Wing è l’area più moderna del museo, realizzata in occasione del passaggio di millennio, dalla grafica molto “cool” più simile a un locale alla moda che a un museo, ed è punteggiata di exhibit e vetrine molto interessanti. Una di queste è dedicata alle fobie, e vi sono rappresentati, ad altezza del viso dello spettatore, i più tipici animali oggetto di fobie: topi di orwelliana memoria, serpenti, piccioni, ecc. In questa rassegna però abbiamo notato come il ragno mancasse dal suo supporto, nonostante la presenza della didascalia. Ammettiamo una certa soddisfazione nel cogliere finalmente anche gli inappuntabili inglesi colpevoli di una carenza di manutenzione, così comune da noi. In quel momento l’occhio ci è caduto sul fondo della vetrina, e il ragno era lì, gigantesco, del tutto fuori scala, piazzato a bella posta per far fare un salto ai visitatori ( e naturalmente provocare qualche ulteriore pensiero sul tema delle fobie).

E anche negli ambienti tradizionalmente meno propensi all’ironia, come quelli militari, è possibile trovare qualche inaspettata sorpresa. Uno dei punti che più si ricordano nella visita all’imponente incrociatore Belfast, ancorato nel Tamigi accanto al Tower Bridge, è la ricostruzione della dispensa, in cui, accanto a un mucchio di patate, un gatto in scala naturale divora un topo di generose proporzioni. All’avvicinarsi dello spettatore un sensore fa scattare un forte miagolio registrato, del tutto incongruo, e per questo particolarmente d’effetto, con il resto della visita che si svolge nel silenzio più totale.

E in Italia? A nostra conoscenza, soltanto il visionario Museo del Cinema di Torino con le sue surreali cappelle dedicate allo star system e con l’alcova in cui ci si sdraia a guardare i film d’amore, sembra mostrare apertamente un certo spirito dissacratore nell’approccio alla materia (e forse non a caso l’allestimento è opera di un architetto non italiano).

Si potrebbe dire che nei musei italiani c’è poco da ridere, data l’attuale situazione del nostro patrimonio culturale. Eppure noi crediamo che non sia un problema di fondi, quanto di abitudine mentale, tipica di un paese in cui il museo è spesso visto come una specie di chiesa (quando non lo è effettivamente) e il curatore un rigido custode della tradizione, quasi un sacerdote. Eppure siamo la patria del barocco e dei suoi scherzi di pietra, e allora perché non smetterla, almeno ogni tanto, di prenderci così sul serio e non provare a giocare un po’ negli allestimenti e nella comunicazione? Male non ci farà, e contribuirà a riavvicinare qualcuno alle emozioni della cultura, che non è detto non debbano comprendere anche qualche sorriso.

dicembre 2oo6

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