Abbiamo parlato già di hardware di realtà aumentata come i Google Glass e di realtà virtuale nella forma degli Oculus rift. E’ importante comprendere la differenza tra realtà aumentata e virtuale: la prima non vi isola dal mondo ma aggiunge informazioni ad esso; la seconda vi propone una realtà totalmente diversa, isolandovi completamente dall’ambiente. Gli hardware sopracitati sono probabilmente i più famosi, ma non sono i soli a spingere in là l’orizzonte dell’ high tech indossabile.
Parliamo di Epson Moverio BT-200 allora. Sicuramente meno noti dei Google Glass, ma a quanto pare in diretta competizione con loro. Anch’essi sono occhiali trasparenti, e riescono a gestire applicazioni di realtà aumentata sia in 2D sia in 3D, ma a differenza dei Google Glass lo fanno in maniera stereoscopica. Uno schermo su ogni lente individuerà nella visuale centrale del campo visivo uno spazio in cui la realtà sarà appunto aumentata.
Hanno una videocamera anteriore, un giroscopio che segue i movimenti della testa, e il tutto è collegato by wire ad una unità di controllo molto simile ad un telecomando, che include un trackpad e alcuni tasti di gestione (back, home, volume), oltre alle connessioni Bluetooth e wireless. Essendo un hardware, è necessario scaricare delle applicazioni dedicate per farlo funzionare, azione che può essere compiuta tramite gli stessi visori. Ma attenzione, pur sfruttando un sistema operativo Android di quarta generazione, non ha l’accesso al market GooglePlay, ma avrà un market tutto suo da dove attingere per le applicazioni.
L’epson Moverio BT-200 è l’evoluzione del BT-100, ed è più leggero, più sottile ma condivide con il primo un certo stile da prototipo, un po’ spigoloso e poco elegante (uno dei primi punti a favore dei Google Glass invece). Ed è effettivamente un prototipo molto vicino alla commercializzazione, anche se acquistabile dal sito Epson per poco meno di 700 euro. Anche Moverio trova a detta dei produttori il suo spazio ideale nei musei e allo stand Epson di Droidcon del 2013 a Londra era possibile provare l’applicazione MOVERIO MUSEUM EXPERIENCE, sviluppata da Extraspace Group di Milano con il supporto tecnico di UNI-FI Group.
Inoltre, la Fondazione Cineteca di Milano ha annunciato un nuovo percorso museale con applicazioni di realtà aumentata e contenuti 3D che useranno proprio i Moverio. Il progetto sarà realizzato entro la fine del 2014, e intende trasformare la Cineteca in un museo vivente e “aumentato” grazie al supporto tecnologico degli Epson Moverio BT-200.
Ma quindi, qual è la differenza quindi tra i Google Glass e Moverio? Cosa spingerebbe un museo a scegliere uno piuttosto che l’altro?
I due progetti sono più differenti di quanto sembri e per quanto il mercato li voglia mettere in competizione, i due prototipi potrebbero facilmente individuare target diversi. La tecnologia indossabile è non invasiva è la strada che i big dell’elettronica stanno seguendo, e i Google Glass hanno sicuramente dimostrato di aver compreso appieno il significato di non invadenza e wearablity. Sono costruiti per l’utilizzo quotidiano, sono leggeri, personalizzabili, e si distinguono di pochissimo dagli occhiali a cui siamo abituati. Sono molto adattabili a tantissimi usi, dai più comuni (come leggere le notifiche del proprio smartphone) ai più specifici come nell’applicazione nei musei (come già segnalato da noi qui) grazie all’accesso a milioni di applicazioni sempre disponibili. Sono stati progettati quindi come tecnologia personale, di proprietà, diffusa, da usare quotidianamente e facilmente.
I Moverio sono più invadenti, ma probabilmente (spero) volutamente. Indossare degli occhiali con forme sostanzialmente diverse e “strane” da quelle cui siamo abituati, più ingombranti, e soprattutto con un filo e un telecomando in mano, è un’esperienza che poco si adatta ad un uso quotidiano. Ciò li rende un hardware dedicato a professionisti, o a progetti specifici nei musei, tramite cui potranno offrire un’esperienza personalizzata ai loro ospiti, magari con un supplemento sul biglietto dovuto all’affitto del visore.
Se dopo il nostro articolo sugli oculus rift avete iniziato a pensare di progettare un app per la realtà virtuale ma vi preoccupano il costo degli oculus, sappiate che ci sono buone nuove per voi.
Esistono progetti che ne abbatterebbero i costi notevolmente pur mantenendo la stessa funzionalità dei visori VR da 350 dollari, e tra i tanti meno costosi (vedi ArchosVR, Dive, Vrase) il primato di inventiva è da attribuire a Google con il suo Cardboard: un semplice cartonato in un unico pezzo che si monta piegandolo, permettendo di costruire un visore VR che insieme ad un comune smartphone, può creare un’esperienza di realtà virtuale a bassissimo costo (circa 20-30 dollari acquistabili qui).
Prima di storcere il naso su concetti di design, c’è da dire che il progetto ha molti punti a favore rispetto ai primi più costosi. Vediamo quali.
A Mountain View hanno ben notato che gli smartphone di ultima generazione hanno velocità di calcolo e qualità grafica ormai molto simili ad un comune PC e possono già oggi soddisfare le alte prestazioni necessarie alla realtà virtuale. Il visore di cartone è fornito di lenti adattabili in vetro, magnete per chiudere il tutto (ma questo funziona anche come click del mouse), velcro, elastico e la possibilità di integrare l’ NFC che farà avviare automaticamente l’applicazione necessaria per l’esperienza. Nel momento in cui si inserisce lo smartphone, lo schermo si separerà in due aeree, una per ogni occhio, adattandosi alla visione stereoscopica del visore. Non solo semplice cartone quindi, ma vera tecnologia a bassissimo costo, basso impatto ambientale, minimo consumo energetico, portatile, wireless, e che utilizza oggetti tecnologici già esistenti e personali dell’utente finale. Quante di queste caratteristiche troviamo negli Oculus?
Progetti come Il Westfries Museum, SwedishVR Museum, potrebbero essere finanziati per il solo costo di sviluppo dell’applicazione, e offrire un servizio forse anche maggiore. A differenza degli Oculus, i Cardboard non necessitano di essere collegati a pc o a centraline esterne e possono sfruttare la videocamera anteriore dello smartphone per passare in modalità “realtà aumentata” (come i Moverio ma senza fili o centraline da tenere in mano), registrare e scattare foto (come i google glass ma in maniera stereoscopica), o tornare alla realtà virtuale (come gli oculus ma senza alcuna postazione fissa). Il museo potrebbe quindi offrire ai visitatori al costo di un’unica postazione virtuale (che crea code e limita l’utilizzo ad un tempo ben determinato), un’esperienza immediata, economica e veloce per tutti, in qualsiasi momento lasciando liberi gli ospiti di usare i propri device personali.
Insomma, si aprono molte possibilità per i musei nell’aggiornamento della propria offerta multimediale.
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