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DNA.ITALIA

Un report di Manuela Comoglio sull'edizione 2011 di DNA.Italia, il market place per la valorizzazione e gestione del patrimonio culturale

Tra i numerosi eventi culturali che la scorsa settimana hanno animato una Torino sferzata dalla pioggia battente, un posto rilevante è stato occupato dalla II edizione del salone DNA Italia. In realtà, più che di fiera o salone, gli organizzatori preferiscono parlare di marketplace strategico.

L’obiettivo è stato infatti quello di creare un punto di incontro e di scambio tra professionisti, imprese e istituzioni che operano a vario titolo nell’ambito dei beni culturali. Uno spazio fisico, ma anche concettuale, in cui le diverse tessere che compongono l’intricata filiera del settore culturale hanno avuto l’opportunità di interagire condividendo conoscenze, confrontandosi sulle prassi e interrogandosi sulle strategie. In questa scelta di fondo risiede anche uno dei principali meriti dell’iniziativa: quello di aiutare il mondo delle imprese e quello delle istituzioni culturali a sviluppare una conoscenza reciproca. Presupposto indispensabile per un reale sviluppo del settore.

Anche quest’anno, più che all’attività degli espositori, la mia attenzione è stata rivolta alle molteplici occasioni di formazione offerte. Si tratta di una variegata serie di appuntamenti costituita da incontri, convegni e workshop tra cui, almeno all’inizio, è difficile orientarsi. Il problema è in parte dovuto all’assenza di un programma complessivo degli eventi che sia chiaro e agevolmente fruibile. Le varie iniziative ruotano intorno al tema dell’innovazione tecnologica e progettuale che viene declinato in una fitta rete di argomenti che spaziano dalla tutela e conservazione, alla gestione e valorizzazione del patrimonio culturale. Patrimonio che, in un’ottica più ampia, non può essere limitato ai beni culturali e paesaggistici, ma che contiene in sé anche l’insieme delle esperienze e competenze sviluppate da chi opera all’interno del settore culturale e creativo.

Nonostante sia guidata da un desiderio onnivoro, di fronte a una così grande offerta si impone una scelta. Con un certo rammarico, decido di trascurare l’interessante convegno inaugurale “Quale patrimonio?”, incentrato sulla rigenerazione urbana e sulla riflessione intorno alle aree industriali dismesse. E, invece, scelgo di concentrare la mia attenzione su alcuni interventi dedicati alle strategie di valorizzazione e agli investimenti in cultura.

Tra le numerose riflessioni, emergono alcuni punti chiave. In primo luogo, viene evidenziato il ruolo della cultura nell’economia contemporanea. Come rilevato da indagini prodotte a livello nazionale (Istituto Tagliacarne-MiBAC) e internazionale (KEA), il settore culturale e creativo è stato protagonista nel precedente decennio di una forte crescita caratterizzata da un tasso di sviluppo più rapido rispetto al resto dell’economia europea. Pertanto, oltre a essere produttore di conoscenze e servizi che contribuiscono al benessere sociale, questo settore si impone come una realtà economica da cui lo sviluppo futuro non può prescindere.

E qui arriviamo a un secondo aspetto importante. L’attuale crisi internazionale rischia di rappresentare una seria minaccia al processo di crescita appena considerato. Oggi più che mai è importante interrogarsi sulle strategie e gli strumenti che è necessario mettere in campo per rispondere alle sfide che il momento storico presenta (reperimento delle risorse, sostenibilità economica e ambientale, sviluppo locale, ecc.). In controtendenza rispetto alla sensazione di immobilismo che troppo spesso mi circonda, scopro al DNA una proattività che non avevo immaginato. In molti degli incontri a cui ho presenziato, il termine crisi ha assunto un valore che è insito nella sua radice, ma che troppo spesso viene dimenticato. Una memoria racchiusa nella parola (‘crisi’ deriva dal verbo greco krinos), che rimanda alla sfumatura positiva dello scegliere, del decidere e, quindi in senso lato, del giudicare e valutare. È da questo punto che ripartono coloro che sono intervenuti al DNA Italia: dal bisogno di fermarsi a riflettere su ciò che è stato fatto e sulle nuove strade da intraprendere. Ripartire sì, ma dall’individuazione dei “cardini di nuove strategie”. Su questo banco di prova si sono cimentate istituzioni pubbliche, fondazioni bancarie, imprese private, fondazioni e associazioni culturali.

Tra le molte questioni affrontate emerge con chiarezza una duplice necessità. Da un lato, c’è bisogno di fare sistema, mobilitando competenze e risorse presenti nel territorio e rafforzando la creatività e le capacità di innovazione delle persone che in esso vivono. Dall’altro, è opportuno focalizzarsi su nuovi modelli di gestione delle realtà culturali che mirino all’autosostenibilità del bene/attività attraverso lo sviluppo di sinergie tra pubblico e privato.

La nuova strada, però, è ancora tutta da costruire.

3-5 novembre 2011

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