di Anna Mazza
La street-art, soprattutto negli ultimi quindici anni, ha subito una trasformazione totale agli occhi degli spettatori. Si è passati dal considerarla un’azione di vandalismo, di illegalità al connotarle lo status di arte, almeno nelle sue espressioni migliori.
Se un tempo si pensava che i graffiti sui muri deturpassero le facciate degli edifici, oggi, addirittura, si utilizzano per riqualificare quartieri degradati, per abbellire zone disarmoniche del tessuto urbano. L’arte di strada ha assunto, nel nostro tempo, una valenza così importante anche grazie alla facilità di condivisione attraverso la tecnologia che, ormai, ci permette di scambiare immagini con facilità e di conservare, in un archivio digitale, qualcosa che nella vita reale è effimero come un murale.
Oltre all’archiviazione digitale si è cercato di preservare anche fisicamente queste vere e proprie opere d’arte, esposte ogni giorno alla pioggia, al vento, all’azione dell’uomo. Ma non è solo il desiderio di proteggerle l’unico motivo che spinge a toglierle dalla strada. Infatti, le quotazioni di molte opere di street art sono oggi arrivate alle stelle, tanto che si è cominciato a esportarle dai muri, a estrarle dal contesto per il quale sono state create per musealizzarle come le altre opere d’arte.
I cosiddetti strappi di murales che vengono effettuati nei casi di importanti artisti come Banksy per la vendita all’asta, se da un lato vogliono preservare l’opera dal naturale disfacimento al quale va incontro per la strada, esposta agli agenti atmosferici; dall’altro deturpano nuovamente i muri che erano stati scelti dall’artista e vanno contro l’idea per cui nasce la street art: essere alla portata di tutti.
Banksy, Mobile Lovers, Bristol. Fonte: https://static.independent.co.uk/s3fs-public/thumbnails/image/2014/04/14/15/banksyb2f.JPG
A tal proposito lo stesso Banksy si è più volte dichiarato contrario all’idea di portare le sue opere all’interno degli spazi espositivi: proprio recentemente su Instagram ha, infatti, dichiarato di non avere niente a che fare con la mostra, interamente a lui dedicata, attualmente in corso a Mosca. La street art sembra quindi rifiutare categoricamente il secolare rapporto artista-mecenate. Non andando troppo lontano, rimanendo in Italia, tutti sappiamo che l’artista Blu, per le stesse identiche motivazioni, un paio di anni fa, ha cancellato delle sue opere a Bologna.
Anche in Francia la street art rimane ferma nella sua posizione: non vuole avere a che fare con il mercato dell’arte. L’artista francese Pascal PBOY Boyart che opera a Parigi, ha, per questo motivo, tentato l’autofinanziamento e lo ha fatto attraverso la tecnologia: la sua firma è infatti un codice QR che permette, inquadrandolo con lo smartphone, di effettuare una donazione in bitcoin all’artista. La trovata geniale dello street artist francese per slegarsi dal sistema dell’arte ha riscosso molto successo e, tra gli artisti, si parla già di esportare il modello Boyart.
Pascal PBOY Boyart, Rembrandt dos au mur, 2018. Fonte https://www.pboy-art.com/single-post/2018/04/30/Rembrandt-dos-au-mur
Gli street artist vedono come un’amica la tecnologia, quasi quanto vedono come un nemico il museo. Basti pensare che essi stessi pubblicano fotografie delle loro opere sui social per renderle pubbliche agli occhi del mondo, costruiscono un portfolio digitale della loro arte. Banksy, anche a causa dei numerosi imitatori, è proprio pubblicando una foto su Instagram che annuncia una sua nuova opera in strada. Se da un lato gli affitti nei quartieri londinesi in cui ha operato Banksy aumentano e creano lamentele come nel famosissimo caso in cui un uomo ha chiesto pubblicamente allo street artist di non realizzare più graffiti nella sua zona perché il costo della vita era diventato proibitivo, dall’altro la street art rigenera visivamente e economicamente zone disastrate.
In Italia la pratica di utilizzare la street art per riqualificare intere città e quartieri è oggi ampiamente diffusa da nord a sud. Partendo dalla Sardegna, patria del muralismo in Italia, che nelle strade di Orgosolo ospita più di 150 dipinti già dal 1969, quando ancora la pratica di rigenerazione urbana attraverso la street art non era così diffusa e nell’isola venne utilizzata per esprimersi politicamente e per raccontare la cultura sarda; passando per la Sicilia che vanta numerosissimi casi di riqualificazione di interi quartieri abbandonati per mano di street artist a Palermo, Catania e nella provincia come il recente caso di Badia Lost and Found nel paese di Lentini che ha previsto l’intera rigenerazione di un quartiere del centro storico con numerosi interventi artistici sui muri; fermandoci in Campania, a Napoli, dove il Parco Merola di Ponticelli è stato denominato Parco dei Murales per le quattro grandi opere che giganteggiano al suo interno, che portano la firma di importanti street artist e titoli in dialetto; Salendo nel centro, a Roma, dove nel 2015 Artribune e Toyota hanno realizzato (a proposito di tecnologia) STREETART ROMA un’app biligue per raccogliere le numerose opere di street art disseminate nel tessuto urbano e per scovarle con la geolocalizzazione; giungendo fino all’Emilia Romagna dove primeggia Bologna, ricchissima di murales e arte di strada che nel 2016 ha subito un duro colpo in seguito alla mostra Street Art. Banksy & Co., che ha costretto molti artisti (tra cui, come precedentemente detto, Blu) a cancellare le proprie opere perché non concordi con l’idea della mostra di togliere dalla strada i murales per preservarli dal degrado urbano.
Tecnologia e street art vanno a braccetto. Non a caso due anni fa Google ha realizzato The Data Center Mural Project, chiedendo a degli importanti street artist di dipingere quattro datacenter di sua proprietà, simbolo della tecnologia high-tech.
Alcuni street artist, inoltre, si servono della tecnologia per il loro lavoro, come ad esempio l’artista Salvo Ligama che per dipingere i suoi pezzi, nella scelta dei colori, si avvale di un algoritmo, creato da un ingegnere, che traduce suoni e voci umane in tonalità di colore.
Intervento di street art di Salvo Ligama Fonte: https://www.ligama.it/
La street art si serve della tecnologia e la tecnologia gioca con la street art! Nella periferia milanese, lo scorso dicembre, è nato MAUA il Museo di Arte Urbana Aumentata. Si tratta di 50 opere di street art già esistenti che grazie a un’app chiamata Bepart, se inquadrate con lo smartphone, prendono vita, raccontando una storia. Il progetto è stato una vera e propria azione curatoriale collettiva che ha visto la partecipazione degli abitanti dei quartieri coinvolti; essi hanno raccontato la loro visione dell’opera che, in seguito, è servita per lo sviluppo dell’animazione della stessa. Un vero e proprio museo, insomma, ma all’aperto, senza che le opere vengano decontestualizzate e strappate via dai muri.
MAUA Museo di Arte Urbana Aumentata, Milano. Fonte: https://bepart.net/maua-museum
Ma non è tutto! A Eindhoven, in occasione del festival Emoves 2018, passeggiando per le strade del quartiere Strijp-S, fino a ottobre sarà possibile ammirare, all’interno del paesaggio urbano, una serie di graffiti in 4D, realizzati anch’essi con la tecnologia della realtà aumentata e visualizzabili con uno smartphone, ma che prendono forma dal nulla, esistono solo nella dimensione parallela della tecnologia. Il progetto, chiamato AUJIK, è curato dall’artista Larsson che nei suoi lavori coniuga arte e robotica.
AUJIK, Stefan Larsson, Graffiti Invasions Eindhoven. Fonte: https://strp.nl/en/program/graffiti-in-ar/
Tramite app, codici QR, particolari software, animazioni 3 e 4D, l’arte di strada continua a lottare per non essere reclusa all’interno di un museo e continuare a vivere nel suo ambiente: la strada.
Però, come tutti sappiamo, le opere d’arte antica, medievale e moderna sono state anch’esse rimosse dal loro ambiente originario di tempio, cattedrale, abitazione privata, per essere inserite all’interno di una sala museale. Non è una novità quella che l’arte venga decontestualizzata dal suo luogo di origine per prendere vita in uno spazio espositivo che la protegga e la mostri al pubblico. Il museo come “ambizione” per un artista è arrivato solo dopo, con l’arte contemporanea.
Inoltre, nonostante questo rifiuto di massa da parte degli artisti di strada, numerose sono le mostre di street art che continuano a essere allestite all’interno di realtà museali consolidate. Riuscirà la street art a sfuggire al sistema dell’arte o alla fine cederà?
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