Come Flash ha aiutato il San Francisco Museum Of Modern Art a rispondere
alla domanda: cos’è l’arte?
Intervista di Giuliano Gaia a Peter Samis, Program Manager for Interactive Educational Technologies presso il SFMOMA.
Quando è stato lanciato il sito, e con quali obbiettivi?
La prima versione web di Making Sense of Modern Artwww.sfmoma.org/msoma/ è stata lanciata nel settembre del 2000. E’ succeduta ad una serie di prototipi molto più ridotti basati su chiosco multimediale e realizzati in Macromedia Director. Dal momento che avevamo già una buona esperienza in multimediali di arte moderna e contemporanea, abbiamo scelto Flash come una via per assicurare una eleganza coerente di presentazione attraverso le diverse piattaforme (stiamo parlando dell’era pre-web standard, in cui ogni browser e ogni sistema operativo leggeva l’HTML in modo diverso). Flash ci permetteva di avvicinarci al feeling multimediale di un CD-ROM e pure era completamente Web-compatibile. Detto questo, senz’altro le viste zoomabili e ad alta risoluzione delle opere d’arte e l’uso di filmati QuickTime in streaming facevano di Making Sense un’applicazione broadband.
Ci rendevamo conto che stavamo precorrendo un po’ i tempi, ma pensavamo che il mondo ci sarebbe venuto dietro. E lo ha fatto!
Lo scopo più importante, naturalmente, era offrire ai nostri visitatori una serie di punti di accesso al mondo dell’arte moderna e contemporanea, sia online, sia nelle gallerie. Per fare questo abbiamo disegnato una serie di template interattivi che rappresentavano differenti approcci alla comprensione delle opere d’arte: esplora e zooma, analisi formale, confronti nel tempo, web collaborativi, gallerie di immagini, onion skin… questi erano alcuni dei nomi che abbiamo dato ai nostri template. Abbiamo posto un’opera importante della nostra collezione al centro dello schermo, circondata da domande. Ogni domanda portava ad una differente modalità di esplorazione, e aggiungeva una nuova dimensione alla comprensione dell’utente dei molti significati che può assumere un’opera d’arte.
Flash era ideale per questo tipo di interattività, che si svolgeva all’interno di una singola schermata.
Il nostro obbiettivo finale invece è nato dalle ristrettezze finanziarie. Sapevamo che stavamo procedendo troppo lentamente, e trattavamo le nostre opere d’arte assolutamente troppo in profondità, per riuscire a completare una selezione delle opere più importanti del secolo in uno o due anni. Per ogni opera infatti noi ricerchiamo confronti e collegamenti in tutto il mondo e creiamo video specifici per l’opera. Avevamo bisogno di una soluzione; una serie di strumenti software che ci permettessero di continuare a pubblicare per gli anni a venire senza dover rivolgerci ad una web agency esterna ogni volta che dovevamo pubblicare del nuovo contenuto.
Così fin dall’inizio, mentre stavamo collaborando con Perimetre-Flux Design per creare i template, allo stesso tempo collaboravamo con Red Eye Digital Media per la programmazione Flash e per costruire un ambiente di sviluppo che ci avrebbe consentito di aggiungere da soli nuove parti ai template in futuro.
Questa si rivelò essere una mossa molto lungimirante, visto che Red Eye venne comprata da una grossa dot-com start-up chiamata Idea Integration, che fallì nel 2001, quando ormai il team si era dissolto. Ma noi ormai avevamo il nostro ambiente di sviluppo. Lo chiamammo Pachyderm.
Quante persone hanno lavorato al progetto?
Anche se gestiamo e continuiamo ad accrescere il programma con un nucleo base di solo quattro persone (oltre a stagisti), un numero molto più grande di persone è stato coinvolto nella sua progettazione e nel suo sviluppo nel corso degli anni. All’inizio del progetto Susie Wise ha lavorato con me come Project Manager per coordinare il lavoro dell’agenzia di design, Perimetre-Flux, e del team tecnico di Red Eye/Idea Integration.
Mentre loro scrivevano il codice, noi avevamo un team interno che produceva i contenuti, ricercando e scrivendo i testi di critica artistica e ottenendo i permessi sulle immagini da ogni parte del mondo, per offrire un giusto contesto alle opere che avevamo qui al SFMOMA, localizzando i film e i video sugli artisti negli archivi e producendone di nuovi, immagazzinando in un database tutti i contenuti che stavamo producendo, ecc. A un certo punto, nel 2000-2001 avevamo un totale di sei membri full-time del Museo che lavoravano sui diversi aspetti del programma, oltre al nostro videomaker principale, Stuart Rickey, che produceva gran parte degli splendidi filmati QuickTime.
Nel corso degli anni, tra staff, stagisti e professionisti esterni, più di cinquanta persone hanno lavorato al progetto.
Gli obiettivi del progetto sono cambiati durante gli anni? Avete scoperto alcun “effetto collaterale” inaspettato?
Penso a due effetti collaterali: il primo è stato lo sviluppo di un “video jukebox” per il Koret Visitor Education Center qui dentro al SFMOMA. Lo abbiamo chiamato “Artist Working, Artist Talking” e permette dai visitatori di accedere a versioni fullscreen dei video QuickTime dei nostri programmi online. I visitatori si limitano a scegliere un artista e subito parte il video. Niente testi extra, niente ricerche, un’interfaccia estremamente semplice.
Il secondo, e ben più ampio, effetto collaterale è stato l’interesse che ha suscitato il nostro sistema per la creazione e pubblicazione in Flash, che abbiamo chiamato Pachyderm™. Per molti anni, i colleghi degli altri musei ci hanno chiesto se lo potevano usare anche loro, e noi ne saremmo stati felici, ma non avremmo potuto offrire loro alcun supporto tecnico. Sapevamo anche che l’interfaccia utente non era davvero finita. Noi sapevamo come far funzionare il sistema, ma ci voleva un certo sforzo per imparare ad usarlo.
E così adesso siamo arrivati a lavorare con il New Media Consortium (NMC), un consorzio di università e musei statunitensi e canadesi che ha ricevuto un finanziamento dal governo federale espressamente per sviluppare una versione open source di Pachyderm che possa essere distribuita gratuitamente a musei, scuole e università del Nord America. All’interno di questo processo lo strumento sta venendo molto migliorato e diventerà compatibile con i web standard ad un livello impossibile per il vecchio Pachyderm, sviluppato originariamente nel 2000. Chi è interessato a maggiori informazioni su Pachyderm 2.0, può andare sul sito NMC dedicato al progetto: www.nmc.org/projects/pachyderm.
Siete soddisfatti dei risultati? Come misurate il successo del progetto?
Alon Salant, che era ingegnere capo del progetto originale Pachyderm in Idea Integration, recentemente mi ha detto: “Un software che ha cinque anni e va ancora forte lo chiamerei un grande successo!”. E lui di software ne ha visti tanti morire in questi cinque anni – e con i software le aziende che li producevano.
Ma ancora una volta, noi non produciamo software. Noi ci occupiamo di insegnare alla gente a guardare l’arte, ad aprirsi all’arte. Quindi io penso che molto del successo del progetto sia stato sia il modello di Making Sense of Modern Art —mettere l’opera d’arte al centro, circondarla con domande che portino al suo contesto di solito invisibile e offrire al visitatore una moltitudine di approcci differenti— e i suoi frutti: piccole parti collegate a mostre temporanee che usano solo pochi template. Penso che i template e i video siano stati il successo più grande, uno dal lato della forma e l’altro dal lato del contenuto- Qualche volta mi preoccupa il fatto che forse abbiamo fin troppo contenuto.
Tecnologia: perchè Flash? Quali sono stati i vantaggi e gli svantaggi di questa tecnologia per un progetto culturale come il vostro?
Ho già detto dei vantaggi di Flash nella prima risposta. Gli svantaggi sono che Flash è una “black box” – Google e gli altri motori di ricerca non possono penetrarvi, e così l’incredibile profondità del nostro programma non era di fatto linkata. A un certo punto Tim Svenonius, il nostro Production manager ed esperto di tecnologia ha ideato un metodo per creare delle pagine di ingresso in html, delle “entrate laterali” nel contenuto Flash che grazie ai metadata permettevano agli utenti in arrivo dai motori di ricerca di ricevere indicazioni riguardo alla parte del programma in cui stavano per entrare (se volete vedere una di queste pagine, digitate “Louise Bourgeois + Nest” in Google e vi troverete in una pagina di esempio… o “Marcel Duchamp + Fountain”).
Adesso Flash è molto più attento ai web standard: in Pachyderm 2.0 potremo avere la ricerca full text e dei Metadata basati su XML sulle presentazioni Flash online.
Per finire, quali sono i futuri sviluppi che avete in mente?
L’ultimo sviluppo in ordine di tempo è la frammentazione della massa di contenuto di Making Sense in unità più piccole, che sono più facilmente accessibili e ricercabili grazie alla nuova interfaccia che abbiamo realizzato insieme ai designer e ai programmatori della Method di San Francisco.
Tutte le nostre presentazioni in Pachyderm – Making Sense, Art as Experiment, Art as Experience e una mezza dozzina di speciali pubblicati in occasione di mostre temporanee come pure vecchi programmi sviluppati in HTML o in Apple Media Tool – saranno accessibili con una interfaccia unificata. L’obbiettivo è che i visitatori del museo riescano a trovare contenuto multimediale approfondito su un’opera o un artista che li interessa in tre click – anche se non conoscono il nome dell’opera o dell’artista. Inizialmente il programma sarà disponibile soltanto all’interno del Museo reale, ma col tempo creeremo delle risorse per le scuole e ne metteremo quanto potremo online. Questa sarà la prossima generazione di Making Sense of Modern Art.
Nota: se doveste aver problemi a vedere i filmati, provate a cambiare i settaggi in Quicktime: – andate in Pannello di controllo/Quicktime – selezionate “Streaming Transport” dal menu a tendina – scegliete “Use HTTP, Port ID: 80”.
febbraio 2005
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